Mio figlio si droga
Un giorno sono arrivata a un’amara conclusione: mio figlio si droga.
Mio marito ed io pensavamo che il periodo più difficile della vita fosse superato, avevamo un figlio poco più che ventenne, una figlia sposata, una nipotina stupenda e i “problemi” di una qualsiasi famiglia normale.
Qualcosa iniziò a cambiare in mio figlio: impegni incompiuti, cambiamenti repentini di umore, continui litigi, non rispondeva più alle mie domande e rifiutava anche le carezze “di mamma”.
C’era qualcosa che non andava, ma ancora non capivo cosa fosse.
Osservavo ogni sguardo, ogni gesto, ogni chiamata telefonica, qualsiasi persona che si avvicinava alla nostra casa. Cominciavamo a trovare i pezzi che completavano il puzzle ma mio figlio insisteva che tutto andava bene; noi lo tempestavamo di domande ed eravamo diventati i suoi nemici.
Io, mio marito e sua sorella continuavamo ad appoggiarlo a cercare di stargli accanto; ma quel ragazzo non sembrava più mio figlio.
Le cose non andavano bene e le domande si fecero ancora più pressanti e insistenti, ad un certo punto, messo alle strette durante uno degli ennesimi confronti, confermò i miei sospetti: si droga. Mio figlio si droga.
Continuavo a ripetermi che non era possibile, “mio figlio si droga? Ma come è possibile? Cosa posso fare?”
Con il coraggio che solo le madri sanno avere per difendere i propri figli, cercai un rimedio. Parlammo in famiglia della situazione e dopo averla accettata con dolore, ci unimmo a cercare la soluzione.
Non ricordo nemmeno come abbiamo conosciuto Dianova; dopo svariati tentativi e alti e bassi continui, momenti in cui sembrava che mio figlio fosse riuscito a rialzarsi ma invece ricadeva, la sua dipendenza era diventata quasi la nostra. Mio figlio era disperato ma deciso a riabilitarsi, aveva bisogno di prendersi del tempo e di allontanarsi. Cosi è arrivato a Dianova.
Io e mio marito abbiamo accompagnato nostro figlio in Comunità e durante il tragitto in macchina aleggiava il silenzio. Vicino alla speranza di accompagnarlo verso un nuovo percorso c’era un dolore sordo, vuoto, duro, senza parole, ci sembrava di abbandonarlo, di affidarlo a qualcun altro…
Quando siamo arrivati ci hanno subito accolto con molto calore, ma io stavo lasciando in quel posto il mio bene più grande!
Guardavo quei volti, quelle facce che portavano i segni di anni vissuti con la droga e continuavo a ripetermi che il mio Andrea non c’entrava nulla con loro, che cosa ci faceva lui qui in Comunità?
Ma non avevamo altra scelta: dovevamo fidarci di chi poteva provare a fare qualcosa per lui perché noi, non ci eravamo riusciti.
Nel tempo che Andrea ha passato in Comunità abbiamo avuto modo di essere accompagnati anche noi durante il percorso. Abbiamo incontrato spesso gli operatori, gli psicologi e tutti i professionisti che lavorano in Dianova e abbiamo capito: non erano i volti scavati, i denti rovinati, i segni sul corpo o le storie famigliari drammatiche a fare di qualcuno un “drogato”.
Sono i segni invisibili, le fragilità dell’anima, gli episodi della vita…
Insieme a loro abbiamo cercato di indagare i motivi: abbiamo capito che non ci sono colpevoli, che ciò che è successo a mio figlio può succedere a un altro e che in queste situazioni l’amore di un genitore non basta.
Abbiamo capito che per una ragione o per un’altra, quello che magari inizia per un gioco, un diversivo o per noia, può diventare una prigione ma che accanto alle fragilità ci sono sempre delle risorse sulle quali poter contare per cambiare la propria vita.
La droga è uno dei problemi che i nostri figli possono incontrare durante la vita e da genitore vorresti proteggerli e difenderli anche dalla dipendenza; quando succede devi affrontarla, affidarti a qualcun altro e chiedere aiuto.
Oggi Andrea ha 30 anni, ne è passato di tempo da quando abbiamo affrontato insieme il percorso in Dianova. A volte mi è capitato di guardarlo negli occhi e chiedergli “Andrea, ma secondo te, perché hai vissuto questo problema? Che cosa abbiamo sbagliato noi come genitori?” perché alcune cose sembrano non trovare una risposta, nonostante il tempo passi e le cose cambino…
“Mamma, ma non usare la parola sbagliare…io mi sento di dire che per fortuna in quel momento c’eravate voi!”
Da ciò che dice mio figlio, dalle parole che ho sentito pronunciare dalle altre famiglie durante gli incontri di gruppo in Comunità e dai discorsi degli operatori ho capito una cosa fondamentale: a volte non puoi controllare le cose che capitano, ma puoi sapere come agire SE capitano. Ho capito che la dipendenza da droghe esiste e che chiunque può viverla a prescindere dalla scuola, dalle amicizie e, a volte, dalla famiglia. Non esistono genitori perfetti e non esistono genitori che possono impedire ai propri figli di vivere momenti difficili; ma ascoltando senza giudizi, comprendendo con sensibilità e chiedendo aiuto quando serve, ogni genitore può davvero supportare il proprio figlio.
Io ho avuto la fortuna di incontrare Dianova, dove quotidianamente ci sono persone che affrontano le speranze, le delusioni, le rinascite e i cambiamenti di ogni ragazzo a cui tendono una mano. Di una cosa sono certa: non ho potuto impedire che Andrea vivesse un problema di dipendenza ma ho agito subito per offrirgli aiuto, senza nascondermi e senza provare vergogna, e credo sia questa la vera natura dell’essere madre o padre, saper affrontare qualsiasi esperienza dei propri figli, anche la più dolorosa, con coraggio e amore.
Ho deciso di raccontare la mia storia perché quando credevo di aver fallito come madre ho trovato qualcuno che oltre ad accompagnare mio figlio, ha accompagnato anche me. Perché per anni ho creduto che certe cose non potessero capitare alla mia famiglia, perché quando ho visto per la prima volta i ragazzi della Comunità che sarebbero stati compagni di Andrea durante il suo percorso non capivo perché “fosse capitato proprio a noi”.
Ma poi, alla fine, in quei volti scavati, in quei denti rovinati, in quegli occhi spesso vuoti … ci sono sempre i figli di qualcuno.